Dalla chiesa di San Domenico al coro della Cattedrale, passando per il borgo dimenticato e sottovalutato: un forziere chiuso da tutto quel che ci ha negato il futuro
«Da cosa nasce tutto questo tuo coinvolgimento?»
«La mia è indignazione»
Federico non ha nemmeno 20 anni e studia economia all’università. Insieme a Dino e Nello ci guida attraverso i vicoli di Bagnoli per mostrarci la bellezza mortificata del suo paese. Una bellezza comparabile a quella d’una donna che non ha bisogno di trucchi per essere esaltata. Una cenerentola che si specchia senza riconoscersi nell’immagine che vede dinanzi a sé riflessa.
Colpisce lo spirito con cui Federico ci racconta della realtà della quale è figlio. Colpisce la sua indignazione verso i “compaesani” che si comportano come se non avessero nulla tra le mani, come se la Cenerentola che li ospita in seno non meritasse alcun riguardo. Quei compaesani incapaci di comprendere che, forse, l’indignazione di Federico e dei giovani come lui è prodotta dal senso di impotenza col quale fanno i conti ogni giorno.
Ogni giorno che camminano per la vie di un borgo dove le auto non dovrebbero avere ragion d’essere tanto piccolo è e che, comunque, ne mortificano il valore con naturale irriverenza. Ogni giorno che pensano che del loro paese l’Irpinia conosca poco o nulla. Ogni giorno in cui si trovano a pensare che perfino nelle occasioni in cui le porte di Bagnoli s’aprono all’esterno, per permettere ai “forestieri” di assaporarne le tipicità, essi non vedono che uno scorcio infinitesimo di vicoli che paiono fermi a un tempo e a un’epoca indefiniti.
L’indignazione di Federico che non abbiamo potuto non condividere, non sentire irrimediabilmente come nostra quando, con lui e le altre due guide, siamo giunti alla chiesa di San Domenico che al suo interno custodisce tesori tanto preziosi da lasciare senza fiato, nonostante il loro abbandono, nonostante la loro decadenza. Giacciono lì, discreti e silenziosi, in una cappella totalmente cadente al pari del chiostro di epoca rinascimentale che altro non è, ora, che un groviglio di rovi e impalcature. Uno sfregio, un’offesa alla dignità di questa terra e non solo.
Uno dei tanti paradossi che si somma a quello di un arco antico, del quale non è certa l’attribuzione ma il valore sì, e che, a vederlo così com’è, pare niente più che un cumulo di massi raccolto sotto il porticato della chiesa libero, nel giorno della nostra visita, solo per caso dalle auto che, talvolta, arrivano a parcheggiarsi fin davanti le sue colonne. Uno dei tanti paradossi come quello degli intarsi spettacolari del coro che è alle spalle dell’altare maggiore, al di sotto dell’organo, che campeggia in fondo alla navata centrale della Cattedrale di Bagnoli. Un monumento nazionale che per essere protetto sopravvive nascosto agli occhi del mondo. Il coro, infatti, non può essere fotografato ed è sottoposto ad un regime molto restrittivo in termini di pubblicizzazione per evitare il pericolo di furti. Come a dire: l’unico modo per la fortezza di resistere all’assedio dei barbari è chiudersi, impedendo a chiunque di passare. Un modo per non affrontare la sfida e mettersi al riparo dal rischio. Ma, come si suol dire, «chi non risica non rosica».
Non essere della partita, infatti, non vuol dire fare l’interesse di una comunità che dalla sua chiusura non può trarre alcun giovamento anzi: col tempo è destinata a pagarne uno scotto sempre più pesante. Ritrarsi vuol dire aggravare l’ipoteca che già pesa sul futuro di Bagnoli e dell’intera Irpinia.
E a queste condizioni, nemmeno tutta l’indignazione di cui i nostri giovani sono capaci può salvarci.
Di metafore ed emblemi