LA “CULTURA DEL TARTUFO” PATRIMONIO IMMATERIALE DELL’UMANITA’

PRESENTATA LA CANDIDATURA DELLA “CULTURA DEL TARTUFO” A PATRIMONIO IMMATERIALE DELL’UMANITA’

Anche la Campania ha partecipato alla conferenza stampa di presentazione del dossier di candidatura della “Cultura del Tartufo” nella lista del Patrimonio culturale immateriale UNESCO. L’incontro istituzionale si è svolto a Torino presso la Sala Giunta della Regione Piemonte.

L’obiettivo della candidatura è quello di certificare e formalizzare, difendere e tramandare il “mito del tartufo”, non solo come prodotto della terra dall’inestimabile valore, ma simbolo di una storia di rapporti tra uomo, natura, animale e tradizione.
“La candidatura del tartufo a patrimonio immateriale Unesco ha un’importanza rilevante in termini di ampiezza territoriale – ha sottolineato l’assessore alla cultura e al turismo della regione Piemonte, Antonella Parigi – Tredici le regioni coinvolte, che condividono gli stessi valori culturali che sottendono al riconoscimento del tartufo come simbolo di unicità e contemporaneamente di unità nazionale, dal Piemonte alla Sicilia”.
… la Campania, terra di ottimo tartufo, risponde PRESENTE!

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La candidatura “CULTURA DEL TARTUFO” PATRIMONIO IMMATERIALE UNESCO  è stata presentata venerdì 23 settembre alle ore 12 presso la Sala Giunta Regionale con la relazione del professore Giancarlo Grimaldi, rettore dell’Università degli Studi di Scienze gastronomiche. Sono intervenuti Stefania Baldinotti, funzionario Mibact,  Antonella Parigi, assessore regionale alla cultura e al turismo, Stefano Colmo,  responsabile delle Relazioni istituzionali di Slow Food e Segretario generale Fondazione Terra Madre, Michele Boscagli, presidente dell’Associazione Città del Tartufo,  Antonio Degiacomi , presidente del Centro Nazionale studi tartufo di Alba e Piercarlo Grimaldi, rettore dell’Università degli Studi di Scienze gastronomiche .

L’Unesco, istituzione internazionale d’eccellenza impegnata nella valorizzazione e preservazione dei patrimoni materiali dell’umanità, ha redatto nel 2003 la prima lista mondiale dei patrimoni culturali orali e immateriali. Essi sono “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi” (Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, art. 2) e rappresentano un elemento fondamentale distintivo della cultura e dell’identità di una comunità e di un territorio.

La candidatura negli anni è stata portata avanti dal Centro nazionale studi tartufo che ha sede ad Alba e dall’Associazione nazionale Città del tartufo con due importanti partner scientifici quali l’Università di Scienze gastronomiche e l’Università di Siena. Si è voluto risalire oltre l’intensa promozione commerciale, i testimonial, l’utilizzo del prodotto nella ristorazione di prestigio in tutto il mondo che hanno felicemente caratterizzato gli ultimi anni, contribuendo alla valorizzazione turistica di molte aree in Italia. Si sono volute documentare e analizzare antropologicamente le conoscenze orali e gestuali e le narrazioni intimamente connesse al tartufo attraverso interviste etnografiche raccolte lungo molte regioni italiane, dal Piemonte alla Campania, passando per la Lombardia, la Toscana e l’Umbria negli ultimi venticinque anni, completate dalla ricerca bibliografica e d’archivio. L’obiettivo della candidatura, che prende il nome di Cultura del Tartufo, è quello di certificare e formalizzare, difendere e tramandare il “mito del tartufo”, non solo come frutto dall’inestimabile valore, ma simbolo di una storia di rapporti tra uomo, natura, animale e tradizione.

Alla base del fascino del Tartufo c’è la ricerca. Nella notte, in aree boschive, nella segretezza assoluta, uomini preceduti dal loro cane, fendono le brume notturne cercando riferimenti tra le piante alla ricerca di un albero che l’anno precedente ha garantito una raccolta fortunata.

Pratiche e informazioni su luoghi propizi sono spesso tramandate di generazione in generazione verbalmente o al massimo annotate su quaderni o agende assolutamente non divulgabili. Il tartufo è lusso e ristoranti di tendenza, cene memorabili e profumi indescrivibili, ma tanto del suo fascino si perderebbe se non ci fosse la cerca, non la semplice raccolta, come succede per le più comuni specie vegetali.

La cerca è un gesto individuale, vissuto in simbiosi con il cane, è intuito e fortuna, conoscenza della delicata pratica dell’estrazione che avviene con il solo ausilio di uno strumento specifico per tipologia di terreno: in Piemonte si usa un particolare zappino mentre nell’area centro – sud un vanghetto.

La cerca del tartufo è un rito talmente impresso nel genius loci delle sue terre da renderlo parte integrante della cultura più intima del territorio.

La ricerca del tartufo: un patrimonio complesso di saperi, di tradizioni, di convenzioni non scritte che nascono come pratica di raccolta per diventare molto di più. Il cercatore ha un rapporto elettivo con il proprio cane, il “suo” bosco, i suoi segreti. Quando il cane inizia a “segnare” un punto specifico, il trifolaio si china, raccoglie la terra, la annusa per verificare se il profumo di tartufo è forte e quindi il tartufo vicino, ma non sfugge un gesto altamente simbolico: la condivisione di un odore ancestrale, il ritorno ad un’epoca in cui il rapporto con la terra era proprio della condizione umana.

“La tradizione della raccolta del tartufo bianco, spontaneo e di libera ricerca, è un prodotto culturale nazionale, lo si fa in tutta Italia, pur con declinazioni tradizionali diverse da luogo a luogo – sottolineano Antonio Degiacomi, presidente del Centro nazionale studi tartufo e Michele Boscagli, presidente dell’Associazione Città del Tartufo -. A partire dalla cultura del tartufo che ci proviene dalla tradizione vorremmo che si rinnovasse e aumentasse la coscienza della necessità di difendere il patrimonio naturale, che assomma piante simbionti, suolo, clima, ambiente idrogeologico e che riguarda istituzioni, proprietari di fondi, cercatori. È un aspetto strategico per il futuro del prodotto e delle terre che lo generano che la candidatura può favorire.”

“La candidatura del tartufo a patrimonio immateriale Unesco ha un’importanza rilevante in termini di ampiezza territoriale. Tredici le regioni coinvolte, che condividono gli stessi valori culturali che sottendono al riconoscimento del tartufo come simbolo di unicità e contemporaneamente di unità nazionale, dal Piemonte alla Sicilia”. Così l’assessore alla cultura e al turismo della regione Piemonte Antonella Parigi, che aggiunge quanto sia “grande la soddisfazione per il contributo messo a disposizione dal territorio piemontese, forte della sua tradizione e dell’attività di ricerca: l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo e la Fiera del tartufo bianco di Alba sono eccellenze internazionali”.

Il Piemonte oltre ad annoverare 4000 cercatori paganti tesserino ha inoltre una rete di tartufaie didattiche o sperimentali disseminate su tutto il territorio.

“I saperi materiali e immateriali connessi alla raccolta del tartufo costituiscono un complesso patrimonio orale, di gesti e parole che appartengono soprattutto alle generazioni più anziane” spiega Piercarlo Grimaldi, rettore e professore ordinario di Antropologia culturale presso l’Università degli Studi di Scienze gastronomiche.

“Questi saperi oggi a rischio di estinzione, vanno raccolti, archiviati e comunicati al fine di consegnare alle future generazioni queste preziose conoscenze altrimenti destinate all’oblio, al fine di dare nuova energia ad un territorio e ai territori coinvolti ed alla loro gastronomia. A partire da queste considerazioni, L’Università degli Studi di Scienze gastronomiche ha partecipato alla realizzazione del progetto della Candidatura della Cultura del Tartufo quale patrimonio immateriale dell’Umanità, predisponendo un libro ed un filmato che mettono in luce in modo approfondito e cognitivo, la cultura del tartufo” .

Fondamentale l’appoggio di Slow Food che arriva nei giorni di Terra Madre a Torino dalle parole di Stefano Colmo: “Lo sdoganamento della gastronomia e della cultura materiale contadina al pari di quella fino ad oggi considerata ‘alta’ è una sfida per il futuro”.

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